.

.

lunedì 4 luglio 2016

La mia Infinity Space. E la tua?

Un'altra Infinity Space se n'è andata. 

"Ma cos'è sta Infinity Space?" Mi è stato chiesto svariate volte. 

Ho provato a trovare le parole giuste, che meglio potessero descrivere questa avventura, ma alla fine sono giunta alla conclusione che una definizione univoca non ci può essere. Ognuno di noi ci ha dato la connotazione che più percepiva vicino al proprio essere. 

Per il mio modestissimo e a tratti sbilenco parere, l'Infinity Space la immagino come un grande calderone che racchiude e mette assieme una serie di ingredienti, che mescolati tra di loro creano una pietanza dal sapore fresco e puro, come l'acqua che sgorga dalle nostre montagne.

Ecco alcune diapositive partorite dalla mia mente...

Infinity Space è la volta infinita che sovrasta le nostre teste, quando, salendo su di un sentiero, volgiamo lo sguardo allinsù, un pò per tirare il fiato, un pò per avvicinarci ad un nostro caro e farci sfiorare da quella brezza, che è come se fosse una sua carezza.

Infinity Space è l'orizzonte dei nostri sogni. Se impariamo sognare a 360°, nulla sarà sgangherato e privo di significato. 

Infinity Space è il timido inizio di amicizie improbabili che nel tempo diventano così speciali da farti mancare il fiato e farti scoppiare il cuore di gioia. 

Infinity Space è un panettone tagliato a Luglio, una partita della nazionale guardata col proiettore e l'antenna sorretta da una scala, ma è anche addormentarsi sotto un cielo stellato e a tratti illuminato dai lampi che farfalleggiano in lontananza, in un abbraccio che sa tanto di incondizionato. E' imprecare per uscire dalla tenda dai dolori muscolari causati dalla sfacchinata del giorno precedente, imprecazioni che diventano sorrisi quando il tuo sguardo incrocia quello di Bruno già pronto a burlarti per la tua faccia da pero cotto appena sveglio.

Infinity Space è l'insalata di riso (rigorosamente con la maionese) più buona del mondo dopo un tot. di km su e giù per i sentieri, e il sorriso dei volontari che dopo solo tre giorni sono diventati così familiari da sentirne la mancanza.
Sono le fragoline di bosco, la grandine, Luserna (di cui mi sono innamorata), e nomi imbarazzanti dei paesini nel circondario di Lavarone. 

Da questa tre giorni (due per me) porto a casa molto. Lo scorso anno ho fatto un passetto dentro al cerchio, quest'anno mi ci sono tuffata a testa in giù.
Ne è uscita una centrifuga di benessere che deve ancora smettere di girare, ma credo che stavolta la lascerò girare ancora per un pò. Ne abbiamo bisogno per la vita di tutti i giorni.

Infine...

Infinity Space è guardarsi negli occhi e dirsi "non avrei voluto essere in nessun altro posto al mondo in questi giorni"


Tra 4 settimane si riparte e si ritorna a respirare aria di Infinity Space. 

Stavolta in Norvegia. Infinity Space continua....












sabato 19 dicembre 2015

L'attesa


Siamo sempre in attesa di qualcosa. 
In attesa di quella telefonata che non arriva mai, in attesa alla posta, in attesa che arrivi il weekend, in attesa che la torta si cucini, in attesa che una costola si aggiusti. (...?!?!)
L'attesa crea aspettativa, crea speranza, crea illusione. Stimola la fantasia. Chi di noi non si è fatto dei trip mentali nell'attesa che il ragazzo o la ragazza che ci faceva sbarellare, ci degnasse di uno sguardo?? Scene da Oscar!!

Il problema di oggi è che nessuno sa più aspettare. Me compresa. E ci si rende conto di questo nel momento in cui siamo costretti a rallentare, se non addirittura quando ci dobbiamo fermare. Come ora. 
Abituata a giornate in cui andavo ai cento all'ora, rimbalzando da un impegno ad un altro come una pallina da ping pong, mi ritrovo in tempo zero a letto, a contare i respiri (che non devono essere troppo profondi altrimenti....parte la fitta!!) e a immaginare con occhi sognanti, il momento in cui il fiato tornerà ad essere corto e le gambe a pulsare di acido lattico dalla pendenza. 

Non è facile eh, la mancanza della mia dose quotidiana di endorfine, al quarto giorno di convalescenza inizia a farsi sentire. Ma ho deciso che questa volta provo a viverla diversamente. Voglio assaporare l'attesa in ogni istante, fino al momento in cui allaccerò nuovamente le scarpe da trail, e sentirò il profumo del sottobosco che tanto trovo familiare. 

La scorsa estate ho conosciuto una coppia di ragazzi che facevano volontariato in Perù. Lui, lavorava il legno al centro parrocchiale, lei è stata mandata alla scuola femminile, su nella vallata, a oltre 3.000 mt, senza telefono, senza alcun contatto con la "pianura". Un giorno la incontro, mi racconta che non vede e non sente il suo ragazzo da oltre un mese e, un pò imbarazzata, mi porge una busta chiedendomi "non è che gliela puoi portare giù al centro?". 
Un gesto così semplice, una richiesta così spontanea, mi ha fatto ritornare indietro nel tempo, quando i nostri genitori se non addirittura i nostri nonni, passavano lunghi periodi lontani gli uni dagli altri, senza mi mettere in discussione i loro legami. 
Loro sì che sapevano cos'era l'attesa, cosa che nel mondo di oggi, ci si è scordati cosa sia. Siamo talmente abituati ad avere tutto e ad una velocità supersonica, che non abbiamo più nemmeno la pazienza di aspettare il nostro turno al banco frigo, figurarsi aspettare una lettera per più di un mese.

Sarò anche filo-romantica sotto questa corteccia da pseudo-ultra-trail-runner-de-sta-cippa... ma un gesto così semplice, avvenuto mesi fa, dall'altra parte del mondo, mi ritorna in mente proprio ora, che ho bisogno di una dose extra large di pazienza..
Nell'attesa di riprendere a correre su e giù per boschi a perdifiato.
Nell'attesa di tornare a sentir battere questo cuore all'impazzata.
Nell'attesa di innamorarmi nuovamente ogni giorno della vita che mi sta aspettando.

M.

martedì 28 luglio 2015

Trans d'Havet 2015, un sogno lungo 83km



Cos’è per me la Trans d’Havet? Me lo chiedo in continuazione, da tre anni a questa parte. Tre anni in cui, un pò timidamente, ho seguito con lo sguardo d’ammirazione di una bambina, questi temerari cavalcare le nostre Piccole (ma grandi) Dolomiti, chiedendomi in continuazione se mai sarei stata in grado di fare lo stesso.
Nel 2014 azzardo ad iscrivermi alla “corta” (se 40 km possono considerarsi “corta”…) e la gara viene annullata causa maltempo.
Quest’anno mi ero ripromessa di non fare gare più lunghe di 30/40 km. Una bella sera di metà maggio, il mio caro amico Alvin (che prima del canto del gallo, rinnegherò più di tre volte!!), riesce a trovare le parole giuste, la foto giusta, al momento giusto per carpire il mio punto debole nei confronti di questa manifestazione, e nel giro di 15 minuti, in un misto tra emozione ed imprecazioni, sono nella lista iscritti della Trans d’Havet 2015!!!
In un lampo arriva il 25 luglio, e sono catapultata al Palazzetto dello Sport di Valdagno, assieme ai miei compagni Fulminei, i Summano Cobras, che mi hanno adottata come “quota rosa” del team più assetato di km (e non solo…) del panorama trail!!!  Briefing con me stessa, ho smesso da mò di chiedermi “cosa ci faccio qui??” perché stavolta la risposta è pronta in canna: SONO QUI PER RITORNARE A VALDAGNO. DOPO 83 DANNATISSIMI KM!  
Ore 22.30 arrivano i pullman che ci portano a Piovene Rocchette. Come alle medie all’urlo di “TUTTINFONDOOOOO” invadiamo gli ultimi posti della corriera. Infilo le cuffie ed entro nel mio mondo, fatto di chitarre distorte e groove che hanno la cadenza dei battiti del mio cuore. A tratti lenti, regolari, decisi, a momenti instabili, fragili, emozionati per ciò che sto per vivere.
Ore 23.00 scendiamo a Piovene. La piazza è gremita, le musiche della sagra fanno da sottofondo al nostro palcoscenico. Siamo i protagonisti, e salutiamo amici e parenti venuti a darci una pacca sulla spalla prima della grande avventura. Sono vistosamente emozionata, devo sembrare rigida come una guardia inglese, perché tutti mi chiedono se sono agitata. “Noooooo, ma scherzi? Mi devo solo sparare questa ottantina di km in mezzo ai boschi, e con previsioni apocalittiche per la notte! Un normalissimo venerdì sera direi”.
I compagni Fulminei come sempre non ci fanno mancare il loro tifo indemoniato, il Presidentissimo sfoggia la bandiera della Muerte, foto di rito e siamo carichi  come cartucce nel fucile, pronti ad essere sparati verso quella che sarà una delle edizioni più scoppiettanti (letteralmente parlando!!) della Trans d’havet.
La Fulminea Mountain Lab - Summano Cobras

L’urlo Cobras rieccheggia alle pendici del nostro monte Summano, di cui conosciamo ogni singola radice, potremmo perfino farlo senza frontale, ma per non dare nell’occhio decidiamo di utilizzarla.
Ore 00.00….tre, due, uno e si parte tra due ali di folla che manco al giro d’Italia ho visto. E qui ho un dejavu. Ho già vissuto questa partenza. Ma quest’anno sono io ad avere zaino, bastoncini, frontale e una tonnellata di grinta! Me ne sento addosso talmente tanta che….mi sa che ho esagerato con la Redbull. Dicono che metta le ali…a me sembra che abbia trasformato il motore di un’apecar in quello di un caterpillar. Con un urlo liberatorio saluto i miei compagni Cobras, e auguro loro una trans d’havet a suon di NONSIMOLLAUNCAZZO!!
Giro panoramico di Piovene, si esce dal centro e si imbocca un sentiero sulla sinistra che si congiungerà col sentiero dei Girolimini (che facevano un liquore che è tutto un programma!!!mmm….). L’euforia iniziale si placa e lascia spazio al silenzio e al ticchettio regolare dei bastoncini sui sassi, interrotto solo da qualche respiro profondo di chi deve trovare il proprio ritmo. La luce delle pile frontali illumina il terreno, mentre tutto attorno il bosco dorme. Guardo verso il cielo e mi esce spontaneo “Dai che su in cima alla croce i fotografi stanno preparando i flash fotografici” Ci dovrà pur essere qualche idiota che sdrammatizza!!!
La prima salita corre via veloce, la conosco praticamente a menadito, e in 1 ora e 43 sono in croce. Peccato che alla Chiesetta abbia iniziato a tirare un vento di tempesta e i “flash in croce” si siano intensificati in modo preoccupante. Mi metto l’antipioggia rosa (che fa fashion!) e mi preparo per il selfie di rito, ma cazzarola, non avevo considerato che a quest’ora non si vede una cippa!!! Guardo il cielo e stasera capisco che vedrò poche stelle, e tante saette. Sembra proprio che qualcuno stia facendo un rave lassù, mai chiamare eh?? Iniziamo a scendere per il sentiero delle Creste, croce e delizia del Summano, che già sono tremende da fare di giorno, figuriamoci di notte, col temporale e Zeus che gioca a tennis con la corrente elettrica. Imposto il navigatore in modalità “risparmio energetico”, sconnetto il cervello (cosa che faccio abbastanza spesso) e non penso che sto rischiando la pellaccia, in un bosco, di notte, con in mano due bastoncini in carbonio che fanno da parafulmine….massì. Tanto son già fulminata di mio, non può peggiorare la situazione.
Rave party

Al Colletto di Velo ha quasi smesso di piovere, ma non ci illudiamo. Rifornimento idrico e si riparte destinazione: Novegno! Si riprende a salire e dopo 10 minuti il cielo ci fa sentire nuovamente la sua presenza ingombrante. Evidentemente vuole proprio che ce la sudiamo questa TDH…così tanto che questa seconda volta ci rovescia addosso una quantità industriale di acqua, che a momenti mi devo costruire una canoa per risalire la corrente. Canticchio tra me e me “Sampei….Sampei, pescatore grandi orecchie a sventola…” ma devo essere particolarmente stonata oggi, perché improvisamente si fa giorno, vedo tutti i contorni della montagna e ben definita la serpentina di compagni d’avventura davanti a me. Chiudo gli occhi e provo a farmi piccina piccina, mentre in quel momento sento il cielo come se si stesse spezzando e un fulmine cade dritto in mezzo al bosco poco sotto di noi. Ok, forse è il caso di starsene zitta e non fare la gagliarda della situazione. Per almeno un’ora non apro bocca, e salgo lungo il sentiero cercando di ingannare la mente pensando a qualsiasi cosa che non sia la paura.
Passo del Gatto, Passo Campedello e finalmente a Busa Novegno inizio a vedere la luce in fondo al tunnel. No, non ci sono cantieri su al Novegno. Ad un certo punto la pioggia si fa meno intensa, la musica techno che batte in cielo si sta spostando verso la pianura e spengo la frontale per gustarmi il momento. Guardo avanti a me, verso dove siamo diretti e i miei occhi vedono un cielo stellato, che in quell’istante è la cosa più magica che io potessi vedere. Mangio qualcosa al ristoro e riparto immediatamente, impaziente di affrontare una seconda parte di nottata, senza il timore che il mio lato B venga preso in pieno da un fulmine! E inizio a correre, la discesa verso il Colletto di Posina è un bosco pieno di radici, ma la conosco bene, perché nel mio breve passato da montanara, l’ho fatto svariate volte.
Finalmente arrivo al tanto agognato Monte Alba, terza difficoltà di oggi. Tutti me ne hanno parlato come un monticello rabbiosissimo che spacca le gambe, a me è sembrato un parco giochi dove fare addestramento per diventare Marines…ehm…Cobras! Sono talmente affamata che divoro strappetto dopo strappetto, finchè spengo la frontale perché inizia ad Albeggiare.
L’apoteosi: L’Alba sul monte Alba (cit. Alvin). Rimarrà negli annali.
Foto By Ale

Sono un orologio svizzero, alle ore 6.00 sono a Passo Xomo, i miei occhi si riempiono di gioia alla vista della crostata, ne divoro un pezzo, faccio il pieno di Adrenaline, mi cambio la maglietta e riparto verso le 52 Gallerie del Pasubio con il passo gagliardo da bersagliere, mi manca solo il cappello con il piumaggio nero poi sono perfettamente calata nella parte. Non sono ancora conscia però di quello che mi attenderà di lì a breve. Zampetto chiacchierando col Sindaco in pappillon (personaggio esilarante conosciuto all’Infinity Space!) e iniziamo la strada delle 52 Gallerie. Sono le 06.20 e, nonostante la giornata non troppo limpida, dopo la nottata appena trascorsa, le vedo più belle che mai. Inizio a contare le gallerie, ma l’effetto è come quando conti le pecore, inizio a vedere nebbia attorno a me. Il problema è che non è nebbia, sono io che mi sto addormentando!! Il passo si fa pesante, il respiro affannoso e piano piano saluto i miei compagni di avventura ed entro in un tunnel che durerà 1 ora e 50, quando i miei occhi vedranno il Rif. Papa, quasi come una visione paradisiaca. 




Dopo aver trangugiato una barretta ai cereali, ritorno un essere umano in grado di pensare, e di muovermi nello spazio e nel tempo (no, questa è una cazzata). Però riacquisto coscienza del mio corpo (dolori compresi) e mi fiondo giù per la Strada degli Eroi. Il sole mi illumina la via, entro in trance e volo (letteralmente) verso il pian delle Fugazze.
Sì, volo proprio. Infatti presa da un raptus discesista, credendo di essere Emelie Forsberg (sbagliandomi di grosso) scivolo sul terreno instabile e plano col mio lato B giù per terra, rotolando verso Sud. Tento invano di fermarmi col piede destro, e nel movimento molto poco atletico mi parte un crampo al polpaccio e guaisco come un cagnolino a cui hanno pestato la coda. Risultato: EPIC FAIL!
Mi rialzo, mi scrollo di dosso quei due chili di terra che mi ritrovo fin sopra i capelli e riparto. In quel momento reincontro il Sindaco, che mi aspettava su al Rif. Papa per una birretta mentre io tiravo dritta presa dalla foga (eh, birretta alle 8 di mattina, sempre sta fatta!). Gli dico che mi è partito un supercrampo mentre provavo ad esercitarmi per i prossimi mondiali di tuffi e mi fa “baby, ho io quello che fa per te” e mi lancia una fialetta di Magnesio puro. Per la serie “non accettare caramelle dagli sconosciuti” la butto giù come se fosse una vodka alla menta, e il crampo passa istantaneamente. Da lì in poi il Sindaco sarà il mio pusher di fiducia.
Arriviamo al Pian delle Fugazze dove ci aspetta una minestrina calda calda che darà una svolta alla giornata. E’ così calda che il mio vicino di panchina la allunga con dell’acqua copiando la sottoscritta (che genio!). Peccato che la sua acqua sia frizzante, e la sua smorfia non la dimenticherò facilmente, sembrava avesse ingurgitato olio di ricino! Robe che quasi casco dalla panchina dalle risate, l’umore risale a livelli endorfinici, ho perso nuovamente di vista il mio compagno di viaggio….SINDACOOOO SARAI MICA A FARTI UN’ALTRA BIRRETTA??? Incrocio Emme, in veste di fotografo (cazzarola, potevi fare il tempone oggi!!!) perchè ha lasciato la caviglia giù per un sentiero la scorsa settimana!! (vedi di rimetterti in sesto per le Ande, sai fratello??), faccio per ripartire e chi vedo arrivare?? I miei amici Bonollo&LigheSenior+Junior che bella sorpresaaaa!!! Una pacca sulla spalla (devo puzzare veramente come un cane!!) e mi accompagnano fino all’imbocco del sentiero che mi porterà su fino a Selletta Nordovest. Tutti ad imprecare perchè è una salita rognosa come la peste, soprattutto dopo 40 km…..io imposto la modalità “caterpillar” (=lento e dannatamente costante), e scavalco anche la selletta (questa è fina eh…)!! Prossima tappa: Campogrosso!
Appena scorgo il rifugio e il gazebo allestito per i nostri Cobras, un urlo squarcia l’aria: MARCELLOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Che visione!!! Marcello con i nostri zaini per il cambio (solo i TROP runners ce l’hanno!!!), Stefano che ahinoi ha dovuto abbandonare la 40 km (coraggioso comunque a partire dopo esserti tolto i punti!!) e il Taglia, che oggi viaggia a risparmio energetico e va avanti a frutta e verdura (ti stimo, fratello!!). Quasi mi commuovo mentre faccio uno striptease in piazza a Campogrosso, finalmente indosso qualcosa di asciutto (dopo 55 km si è un pò sensibili eh…..anche ad un paio di mutande asciutte!!!). Però una cosa devo dirla ora….questi ragazzi meritano un monumento!!! Cobras, vevojoben!!! Riparto assieme al Taglia e a Marcello che ci scatta l’ultima foto prima di salutarci, lui andrà in direzione Valdagno, noi in direzione…..BOALE DEI FONDI!!!

All’imbocco ci casca la mandibola. Ma quei puntini lassù in alto, sopra le nostre teste…..sono persone??? Una serpentina infernale, che non lascia scampo, su di lì bisogna andare. Scambiamo un cespuglio per una persona, “Taglia, non è un buon segno, sai??” eppure riusciamo con la nostra costanza (che poi, chi azzo è sta Costanza?!? Bah) ad arrivare in cima al Fraccaroli alle ore 13.23.
La cima più alta di giornata è fatta, direi che ci siamo. Credici!
Tappa allo Scalorbi, con birretta e tonnellate di crackers con i pomodorini (la nuova frontiera del doping!), momento di public relations con Emanuele Frisoni venuto a farsi una corsetta in Carega e….chi vediamo? Andrea Cadel: stoico amico dell’Atletica Vicentina, che non molla un cm, viene avanti come un condor! Facciamo un pezzo con lui ripartiti dallo Scalorbi, poi lo lasciamo proseguire, ha il passo infuocato! Ci rivedremo più avanti amico! :)
Sosta Scalorbi

Vi risparmio la descrizione dell’orticata che mi son beccata sulle chiappe imboscandomi per i miei bisogni fisiologici dietro un pino mugo…(ma ci sono le ortiche fino a quelle altitudini??bah!!), ho camminato male per venti minuti, e il premio “colliona” me lo sono meritata pure oggi.
L’ultima cima di giornata, cima Marana, si è fatta a lungo attendere, sembrava di essere in un loop e di rifare sempre lo stesso percorso, tutto un saliscendi maledettamente in cresta, senza vedere quando finiva. Nel frattempo mi aveva abbandonata sia il Garmin, sia il lettore mp3, che, ovviamente, avevo lasciato acceso dopo averlo ascoltato in pullman, pertanto...batteria a terra. Vai a fidarti della tecnologia (o del mio cervello!).
Finalmente scorgiamo una croce, ed è proprio lei! Cima Marana. Da qui in poi tutta discesa!!! Fosse facile! Per fare i primi 3 km ci mettiamo un’ora! Corde fisse, terreno instabile, radici, ohhhh ma siamo matti dopo 70 km far sti scherzi? C’è chi è sensibile!! (sta storia della sensibilità funziona quasi sempre!!)
All’ultimo ristoro, dopo il pieno di crackers coi pomodorini (il mio nuovo piatto preferito) chiediamo timidamente…”quanto manca?”...la risposta ci pietrifica “ah, mancheranno 8/9 km...un paio d’ore e siete giù”. Io guardo l’ora, son le 20.00, mi sto per sentire male se penso che dovrò riutilizzare la frontale. NoNoNoNo, non ci sto.
Guardo il Taglia che mi fa “non esiste che due Cobras ci impiegano due ore a fare 9 km. Si va giù a canna!” Sarà una delle decisioni più sofferte, ma seguo il Taglia, mi piazzo a ruota e andiamo giù come dei cacciabombardieri kamikaze, come se non ci fosse un domani, come se io non dovessi andare in Perù e lui fare la TDS… Provateci voi a correre dopo 74 km a tutta. E’ come passare attraverso una miriade di aghi che ti infilzano ad ogni minimo movimento. Ma non c’è tempo per pensarci, stacco il cervello e giù a piombo. Neanche la visione paradisiaca di due piscine giganti (chissà se c’erano veramente!) ci fa rallentare il passo. Superiamo almeno una quindicina di atleti che passeggiano quasi rassegnati a farsela tutta camminando, e realizzo l’immenso potenziale di due Cobras quando si spronano a vicenda. Cazzo, siamo uno squadrone!
Finalmente il cartello indica Valdagno, e noi ormai voliamo verso il nostro personale traguardo. In centro tutti applaudono, e ci guardano con ammirazione. La passerella è tutta nostra, e corriamo fino all’ultimo metro, fino a quel fatidico “biiiiip” che ci fa capire che è FI-NI-TA! La TRANS D’HAVET è TUTTA NOSTRA!!!

Ci guardiamo….sfatti ma soddisfatti, un abbraccio a Pollo e un “gimmefive” al fratello Taglia. Perchè alla fine ciò che conta non è il tempo. Ciò che veramente è importante è rincorrere i propri sogni, anche se devi attraversare 7 monti, di notte, col temporale, coi fulmini, col mal di gambe.
Vale SEMPRE la pena uscire dal proprio recinto di sicurezza. Non sai cosa puoi trovare, ma sicuramente corri il rischio di trovare la vera FELICITA’.

Grazie TRANS D’HAVET, arrivederci al 2016.

martedì 7 luglio 2015

Infinity Space, non un viaggio, IL viaggio



Quella che sto per raccontare non è una gara. Non è neanche una corsa. E’ una di quelle avventure che ti entrano sottopelle e che ti porti appresso per molto, molto tempo.

La location è Recoaro Terme, ma ciò che attende questi 120 temerari, è tutto all’infuori di un tranquillo weekend termale. L’itinerario è da capogiro: un anello di 120 km lungo i sentieri della Grande Guerra, alla scoperta del nostro territorio, dove molti hanno lottato e perso la vita. L’altimetria non è da meno. E’ più simile ad un elettrocardiogramma sotto sforzo, ma neanche questo ci scoraggia. Saranno tre giorni (due e mezzo per la precisione) molto intensi, ma in partenza il clima è, come sempre, di festa. 


Perché partire per un viaggio del genere? Ognuno ha la propria, personale motivazione. Chi lo fa per sfida, chi per semplice avventura, chi per stare tre giorni immersi nella natura, chi altro per stare in compagnia. Fatto sta che la formula della Cerniera, funziona sempre e richiama un sacco di persone, più e meno folli.
I temerari
Discorso di rito del mitico Bruno, consegna del ricavato all’associazione per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, occhio lucido doverosamente nascosto dietro agli occhiali da sole e si va. La prima tappa dell’Infinity Space è partita. Appena fuori dall’abitato di Recoaro Terme, dopo un km di asfalto, prendiamo un sentierino nel sottobosco direzione Staro Mille. Il caldo è infernale, e sembriamo già tutti reduci da uno di quei gavettoni da campo scuola. Ognuno va col suo passo, tanto non c’è cronometro, e non ci sono classifiche, ma solo emozioni. Io sto bene, ma cerco di essere prudente, mi guardo attorno, e nel dubbio, chiacchiero! 


La prima sorpresa non tarda ad arrivare. Dopo soli 5 km di cammino, improvvisamente qualcuno spegne la luce e quello che prima era un afoso pomeriggio di inizio estate, si trasforma in un violento temporale (così violento che a Schio diventerà una tromba d’aria). Ho come la sensazione che la montagna voglia subito farci capire chi comanda, che è Lei a dettare legge e che noi siamo solo dei minuscoli esserini che le stanno chiedendo permesso. Qualcuno si lamenta, ma si sa, in montagna l’imprevisto è dietro l’angolo, e se non sei preparato, ”hazzi tua”, dicono. Mi infilo il mio atipioggia (ROSA!!), e proseguo, tanto sarà di passaggio, dico, poi ci asciughiamo di sicuro. Ultime parole famose. All’imbocco della Val Canale veniamo allietati da un ristoro di anguria (DIO BENEDICA L’ANGURIA!!!), mi caccio in bocca 7/8 pezzi e riparto nonostante l’organizzazione ci consigli di prendere altri sentieri, più lunghi ma meno pericolosi della Val Canale con questo meteo.  

La Val Canale vola via più veloce del previsto, vengo soprannominata “Lady Locomotiva” per il mio passo lento e costante, la vista del Rifugio Achille Papa è una splendida visione colorata nel grigiore del cielo di oggi e poi giù per la tremenda Val Sorapache. 
Lady Locomotiva

Rif. Papa

Qui troviamo il genio di giornata, che vincerà il mongolino d’oro per la furbizia. Tra un’imprecazione e l’altra sul mancato balisaggio (Ewiwa chi non guarda i siti prima di iscriversi) gli faccio “Sul sito era scritto che non era balisato. E perché, una cartina non ce l’hai?”. Due secondi di silenzio…encefalogramma piatto e mi parte un mentale “brao mona” (sì lo so, son sempre troppo diplomatica) quando in realtà gli dico di seguirci.

La prima tappa si chiude tra i racconti di allucinazioni della Raffa, donna ultra-strepitosa che farà parte dell’Ande Trail Team. E scusate, ma per me una donna che ha fatto il Tor de Geants è e rimane un MI-TO! Primi 27,5 km, con 2.154 mt D+ portati a casa. 


All’arrivo in paese a Posina è festa grande, tutti a mangiare nel campo sportivo, sembra di essere una grande famiglia, tra racconti dei vari sentieri intrapresi (e sbagliati), e scambi di sensazioni. In tutto ciò non può mancare una buona birra o un bicchiere di Vespaiolo, che mette come sempre, tutti d’accordo!

Ore 23 tutti in branda, anche se ci sono i soliti irriducibili, il Sindaco, i Gemelli, il Principe e l’allegra combriccola della Cerniera, che continuano inesorabili a fare ciò che gli riesce meglio: CASINO! Ma noi gli vogliamo bene anche e soprattutto per questo.


La sveglia è impostata prima delle 6.00, ma viene preceduta dalla sveglia della Cerniera, un impianto di tonnellate di Watts che ci dà il buongiorno a suon di musica italiana “de sti anni”! 3,2,1 e in tempo zero siamo fuori dalle tende, in fila coi nostri bicchierini da campeggio, pronti per riempire lo stomaco ed affrontare la seconda giornata. Il tè è un qualcosa di paradisiaco, io dormo praticamente in piedi, saluto a comando e sarà così per le successive due ore. Il mio reale risveglio avverà a metà dell’ascesa al monte Maio, quando inizierò a sentire sensibilità alle gambe. Più che sensibilità mi verrebbe da dire male…ma inganniamo la mente và, che la strada è ancora lunga. Dopo il bosco, quello che ci attende è un meraviglioso sentiero da fare tutto in cresta che va dal monte Maio al monte Maggio (sì perché ci è stata data la possibilità di tagliare una decina di km, in vista anche de tappone finale) e lì scateno la pseudo fotografa che è in me. Che poi io non sono fotografa, ma certi panorami sono lì per essere immortalati, non c’è altra spiegazione. Cioè, roba da cartolina, colori così luminosi da sembrare quasi filtri di Instagram. Arrivati al monte Maggio mi imbatto in un dibattito sul mese in cui siamo. Da come i due discutono meglio non intervenire e lasciarli nel loro mondo fatato, probabilmente è uno dei deliri da caldo+primatappa+pocosonno. E siamo solo al quindicesimo km! Ottimo!
Laghi vista dal Monte Maio

Scendiamo fino al passo Borcola, dove lo staff Cerniera ci fa trovare ogni bendiddio! E visto che siamo in tema mi esce un “God bless la Cernieraaaaa!!!” Ragazzi, questi sono eccezionali. Pasti caldi in qualsiasi momento, bevande (di ogni tipo) a volontà, zaini sempre a disposizione, e piogge di sorrisi ad ogni ora del giorno. Voto 10, 100, 1000!! Faccio respirare i miei piedini, punto focale della mia attenzione. Senza quelli non vado neanche dalla tenda al wc, figuriamoci se ci faccio 120 km! Li devo trattare bene se voglio che mi assecondino nelle mie pazzie! 
Carlo ed Elisa

Lo Staff della Cerniera
Mezzora scarsa e si riparte. Prendiamo il sentiero Europeo che va verso il rif. Lancia, una bella botta di D+, che, subito dopo un piatto di gnocchi, ormai diventato un unico mattone nello stomaco, non è il massimo da affrontare. Sudiamo come dei colletti bianchi nel deserto, ma lentamente riprendiamo quota e si ritorna a respirare. Lo spettacolo di questo sentiero ci fa quasi dimenticare il caldo e la fatica. Dico QUASI perché sembra che il rif. Lancia l’abbiano abbattuto e costruito un tot di km più in là, così, tanto per farci lo scherzone del giorno. Dopo un paio di allucinazioni del tipo “Sì, sì, è dietro quella curva, vedo il tetto”, dimostratesi poi un sasso…finalmente la visione! Mai è stato così bello!! Birrozza media (finita troppo in fretta…secondo me il bicchiere era bucato), paninazzo, dieci minuti di libertà per i piedi e si riparte. Gli ultimi km fino a Trambileno sono un susseguirsi di sentieri sbagliati, racconti di vite precedenti, sì insomma, la normalità. E anche oggi 35 km con 2.476 D+ messi in saccoccia! 



La serata scorre fin troppo veloce, prima di andare a dormire (come le galline, tipo che alle 20.40 già sbadigliavo) prendo il mio sacco a pelo e lo stendo fuori dalla tenda. La temperatura perfetta, il cielo terso e la schiera di tende tutte uguali, ma ognuna coi propri sogni all’interno, mi fanno vivere uno di quei momenti magici che non vorresti finissero mai. Quei momenti in cui i pianeti si allineano e ti senti nel posto giusto del mondo, che non vorresti essere da nessun’altra parte se non lì, nel campetto da calcio di un paesello della Vallarsa, seduta sull’erba, con le gambe doloranti, ma il cuore aperto a queste montagne che non giudicano, ma che sanno accogliere e punire, che vanno amate, ma rispettate. Proprio come una Madre. 


Il terzo giorno è resuscitato….ah no, quella era un’altra storia. Il terzo giorno dell’Infinity Space inizia alle 04.47, quando il buon Bruno ci sveglia non più con la musica, bensì con il…FISCHIETTO e all’urlo di “SVEGLIAAAAA LAVATIVI!!! CHE CI FATE ANCORA A LETTO! DAI CHE LA GIORNATA E’ LUNGAAAAA!! Per un istante mi sento un po’ “private snowball” di Full Metal Jacket, ma appena mi muovo per sgranchirmi le gambe realizzo di essere più “ball” che altro. 


Ma oggi non c’è tempo di pensare. Ci sono 55 km da fare, senza tagli, senza sconti. Preparativi, colazione e alle 6.00 siamo già in strada. Da Trambileno scendiamo e prendiamo un sentierino che costeggia un laghetto artificiale, passaggio d’obbligo alla Campana dei Caduti e poi su, direzione Monte Zugna, la prima, vera, fatica di giornata. Anche oggi dubbi sui sentieri da percorrere, ma no fears, l’importante è che vadano in su!! Mi pentirò presto di questo pensiero, infatti sta per arrivare una crisi. Anzi, LA crisi. Per un’ora e mezza mi eclisso nei miei pensieri, che non sono neanche così tanto profondi. Sono più simili alla scimmietta di Homer Simpson che suona i piatti neanche andando tanto a tempo. Cerco di non farmi trascinare dentro al vortice dei pensieri del tipo “cazzo, mancano ancora 40 km” oppure “dove ho lasciato le gambe, in tenda??” e proseguo, zittendo la vocina interiore che fa di tutto per demolire il mio obiettivo di giornata. Ascolto la mia saggia compagna Elisa che mi dice “Un obiettivo alla volta, intanto arriviamo a  Malga Zugna, poi penseremo al Fraccaroli”. La mia salvezza. Al ristoro di Malga Zugna faccio il pieno di pasta al pomodoro, n-fette di anguria, Sali minerali, aria ai piedi e riparto. Sono rinata. 
 


Qui ricomincia la mia Infinity Space, quasi come se non avessi sulle spalle (anzi, sulle gambe) già una ottantina di km e oltre 6000 D+. Il resto è stato uno spasso, la salita al Carega lungo un vallone che sembrava surreale quasi una passeggiata, il caldo e il sudore ormai mi fanno un baffo nonostante l’abbronzatura da “muraros” mi faccia sembrare meno signorina di quanto io sia di solito (il che è tutto un programma!!) e in un attimo (Marti, ridefinisci “attimo” please…) giungiamo a lui, il maestoso e unico Rifugio Fraccaroli, a quota 2.230 s.l.m., il punto più alto del nostro viaggio.
 
Messer Fraccaroli
Immancabile pausa birrozza+panino, quattro sganassade e via, da qui si scende fino al rifugio Scalorbi, ultimo tratto di leggera salita verso il passo della Lora e giù in picchiata fino al Rif. Battisti, dove troveremo Mirka e Gianni, lì da chissà che ora ad attenderci sbirrazzando felici. Da qui a Recoaro mancano esattamente 10 km di discesa, di bitumazzo che sa far male anche ad un elefante, ma in questo momento mi sento di poter fare qualsiasi cosa, accenno pure ad una corsa, che non sarà mai più veloce di 6.40 min/km, un passo da lumaca, ma dopo quasi 120 km va più che bene. Inizia anche a piovigginare, e mano a mano che scendo, l’afa e l’umidità mi riscaldano il petto (non il cuore, suvvia, non siamo romantici!). Rifiuto ben 3 passaggi in auto, devo veramente dare l’idea di una desaparecidos. Ma ormai vedo le luci di Recoaro Terme, che ho lasciato due giorni e mezzo fa a piedi. E ritornarci a piedi ha il sapore tanto amaro dell’acido lattico fin sopra le orecchie, quanto dolce come tornare a casa dopo essere stati per lungo tempo lontani. 


E’ sera, son quasi le 21.00 e sono in viaggio da stamattina alle 6.00. Gli abitanti delle Contrade e del Paese mi guardano con un mix tra il sorpreso e il sospettoso, chissà cosa pensano. Finalmente arrivo in centro, nel piazzale da dove siamo partiti. Non ci sono striscioni, né tabelloni col tempo, ma ci sono gli amici, gli organizzatori, e in primis Bruno, che attende tutti a braccia aperte e con gli occhi velati. Non potevo chiedere di meglio. Ecco, questo è stato il più bel premio che potessi ricevere.

Un abbraccio sincero e un….”BRAVA BOCIA”.



Ah, per la cronaca, il mio Garmin ha segnato 117 km, 8.116 D+. #sticazzi